1.1.2015 

Il mio primo gennaio duemilaquindi-ci finisce così, di notte, con l’incontro insospettabile nel mio spettinatissimo quartiere francavillese di una coppia russa che finisce per citarmi e tradurmi parole del Dalai Lama. Non avrei voluto essere qui, nel mio quartiere, stasera; non avevo alcun interesse verso qualcosa di riferibile al buddismo; l’aforisma che ho incontrato, peró, riempie: “quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”

Non tenevo particolarmente ad avere un nuovo anno a disposizione, per me: il futuro e altra vita non m’invita. Stasera trovo un escamotage: il mio augurio per l’anno nuovo è dunque di scomporre la logica dell’anno nuovo. Cambiamo il nostro modo di percepire la dimensione temporale; usciamo dalla linearità, la progressione, l’evoluzione, l’escatologia, il momento clou. Senza futuro, con un passato distorto e narrato, il mio augurio è di di uscire da questo non/presente.